
Come start-up quali sono le difficoltà e le opportunità che avete trovato lungo il vostro percorso per arrivare a un prodotto pronto per la commercializzazione?
Di certo la più importante opportunità che abbiamo avuto è stata trovare, già dalle primissime fasi di sviluppo della società, partner e soci che hanno creduto nella tecnologia di WISE e nel nostro team. Dapprima “Agite!” e il suo presidente Mario Zanone Poma, che hanno fondato la società con i partner scientifici quando avevamo solo una domanda di brevetto, e che sono stati i miei mentori nella transizione da ricercatore a imprenditore. Poi gli altri soci italiani, tedeschi e svizzeri che si sono uniti a noi supportandoci sia finanziariamente sia trasferendoci la loro esperienza, consentendoci così di arrivare fino alla fase clinica del nostro primo prodotto.
Abbiamo anche avuto l’opportunità di insediarci e crescere nei nostri primi 5 anni presso un incubatore di impresa (Fondazione Filarete a Milano) dove abbiamo potuto affittare spazi e strumentazione quando non eravamo ancora in grado di effettuare importanti investimenti.
Fondamentale poi è stato aver potuto trovare persone di grande talento in Italia che si sono aggiunte via via al nostro team.
Le difficoltà sono state anch’esse numerose, sia per la complessità intrinseca nel realizzare e validare un dispositivo medicale impiantabile mediante una tecnologia innovativa (ma questo fa parte del gioco), sia per le molte barriere burocratiche che abbiamo incontrato sulla nostra strada. Oggi però la maggiore difficoltà che stiamo affrontando è l’incertezza e l’irrigidimento della normativa Europea sui dispositivi medicali, oltre che il sostanziale congelamento del processo di approvazione CE, determinato dalla transizione al nuovo regolamento MDR. Molte start-up hanno già cambiato la propria strategia decidendo di certificare i propri prodotti solo negli Stati Uniti, e questo nel medio termine comporterà una minor disponibilità di terapie innovative basate sui dispositivi medicali per i pazienti europei.
Parlando più a livello generale, dal vostro punto di vista di quali strumenti le start-up necessitano maggiormente per potersi affermare sul mercato?
Molto dipende dal settore in cui opera la start-up, ma certamente per tutti la disponibilità di mezzi finanziari in quantità adeguata e tempi brevi è fondamentale.
Per società tecnologiche quali la nostra è poi essenziale poter accedere nelle prime fasi di sviluppo a spazi attrezzati a laboratorio e a strumentazioni molto costose senza dover sostenere importanti investimenti, e da questo punto di vista gli incubatori di impresa hanno un ruolo chiave. Questo consente di validare in tempi brevi un prodotto o una tecnologia prima di disporre di ingenti finanziamenti.
Nel caso di tecnologie sviluppate in centri di ricerca universitari, è anche necessario che vi sia una modalità agile e serena per il trasferimento tecnologico.
Infine, ancora una volta, no a inutili burocrazie: le start-up devono svilupparsi alla frontiera dell’innovazione (sia essa di prodotto, di servizio o di modello di business) e pertanto non è importante chi parte prima ma chi arriva prima.
Quale è la sinergia ottimale che si dovrebbe creare tra mondo della ricerca e il mondo delle imprese?
Per quasi 10 anni sono stato un ricercatore e ora da quasi 10 sono un imprenditore, quindi ben conosco e comprendo i due mondi e le difficoltà che hanno per collaborare.
La finalità della ricerca è creare e diffondere conoscenza e quindi il suo fulcro è la piena divulgazione delle proprie scoperte (mediante articoli, congressi e lo scambio di ricercatori). Il prestigio di un ricercatore è legato a quanto la propria ricerca sia citata e replicata da altri, e la sua preoccupazione è che qualcuno pubblichi una scoperta prima di lui.
La finalità dell’impresa è invece la creazione di valore per i propri azionisti, che nasce dalla competizione, dalla proprietà intellettuale e dalla protezione del know-how. La preoccupazione dell’imprenditore è che un concorrente copi o migliori un proprio prodotto, magari assumendo le proprie persone chiave.
Oltre ad avere quindi finalità e preoccupazioni quasi opposte, anche la definizione di innovazione non è la stessa per i due mondi: la ricerca scientifica più avanzata e di frontiera non è necessariamente quella che ha le più significative ricadute industriali nel medio termine, o magari la ricaduta è in un campo molto diverso rispetto a quello in cui è nata la ricerca.
La chiave a mio avviso per creare una sinergia tra questi mondi è pertanto quella di creare tra di essi un forte e reale dialogo, facendo in modo che possano capirsi, contaminarsi e superare i pregiudizi che i due mondi hanno l’uno dell’altro.
Per far ciò è necessario creare delle iniziative che inducano i due mondi a frequentarsi e a comprendersi, spiegare ai ricercatori cosa è un brevetto e quali sono le accortezze per non rendere un’invenzione non più brevettabile, avere uffici di trasferimento tecnologico veloci che supportino il deposito dei brevetti nel più breve tempo possibile, evitare di creare inutili sovrastrutture burocratiche tra i due mondi mantenendo il loro rapporto informale e fluido e soprattutto incentivare sia in termini di carriera che economicamente i ricercatori che brevettano e che contribuiscono a trasferire una tecnologia all’impresa.
In quest’ottica il supporto allo sviluppo di un vivace ecosistema di start-up, e quindi di persone formatesi nel contesto della ricerca e diventate imprenditrici, potrebbe consentire di creare un esercito di ambasciatori capaci di aiutare questi due mondi a convergere.
A ben vedere queste sono state le chiavi del successo dei modelli della Silicon Valley e del Biotech Hub di Boston.
Una realtà come ALISEI può essere di aiuto per le start-up e cosa vi aspettate?
La missione dichiarata di ALISEI è proprio quella di promuovere l’interazione tra ricerca e industria nel settore medicale, e pertanto potrebbe avere un ruolo importante nel creare la contaminazione tra ricerca e industria che può portare alla creazione delle start-up in questo settore. Allo stesso tempo le start-up possono essere per ALISEI uno dei motori capaci di aiutare i due mondi della ricerca e dell’industria “tradizionale” ad avvicinarsi.
Inoltre, ALISEI potrebbe aiutare a creare una maggiore sinergia tra i soggetti di ricerca e industria che agiscono sullo stesso territorio, sia esso regionale o nazionale. Per aziende giovani che hanno ancora un proprio network poco sviluppato, quali le start-up in particolare, può essere infatti molto difficile individuare fornitori o potenziali partner. Questo comporta anche il “rischio” che tali aziende individuino partner e fornitori lontani (per esempio in altri paesi europei o negli USA) quando potenzialmente esisterebbero valide alternative locali, andandosi quindi a caricare di complessità e costi legati alla gestione e alla logistica dei fornitori che potrebbero essere evitati.
Infine, sul piano pratico, le start-up nel settore dei dispositivi medici hanno oggi soprattutto bisogno – oltre che di risorse finanziarie – di aiuti concreti e pragmatici per il superamento delle barriere burocratiche e regolatorie che si stanno alzando vertiginosamente in Europa. Questo anche per evitare che vi sia una definitiva fuga – che purtroppo è già iniziata – dell’innovazione dei dispositivi medici dall’Italia e dall’Europa stessa.